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Prevede, a suo parere, che la crisi del Covid-19 possa determinare qualche cambiamento e/o trasformazione storica nella struttura dei rapporti internazionali economici, sociali, politici e culturali?

ZAMPIERI: Sicuramente quella del Covid è stata una delle tre grandi crisi che hanno caratterizzato l’inizio del XXI secolo. La prima crisi globale è stato l’attentato dell’11 settembre 2001, la seconda la crisi finanziaria e la terza, appunto, la pandemia. Questa crisi cambierà delle cose: anzitutto sul piano geoeconomico. Il Covid-19 ha dimostrato la necessità di internalizzare le attività produttive strategiche, al momento quelle nell’ambito medico-sanitario, quelle legate alle produzioni di microchip, che ad oggi sono progettati dai Paesi occidentali ma sono realizzati e testati in Asia. I Paesi occidentali, infatti, non si possono più permettere di lasciare la maggior parte della produzione di microchip in mano ad un Paese, come Taiwan, che un domani potrebbe essere inglobato dalla Cina. La seconda conseguenza sarà quella per cui si ridurrà l’estensione delle catene del valore globale. La globalizzazione si regionalizzerà un po’ di più. La globalizzazione economica sarà dunque meno globalizzata e più regionalizzata.

CASTRONUOVO: Il Covid, come è avvenuto per tutte le altre pandemie nel corso della storia, oltre a provocare dolorose perdite umane, ha destabilizzato internamente molti Paesi, con la popolazione che si è impoverita e si è polarizzata tra chi vuole seguire le indicazioni del governo e chi si rifiuta di sottomettersi a quella che alcuni definiscono una vera e propria “dittatura sanitaria”. Questa situazione ha contribuito ad aumentare l’indebitamento dei Governi, anche per mantenere un minimo di pace sociale, con il rischio che per molti di questi ci si possa avvicinare al livello di insolvibilità, come già avvenuto in passato. Ora, nessuna Organizzazione può essere molto più capace della somma della potenza dei suoi membri e, quindi, anche la NATO e l’UE dovranno tenere conto di questa situazione senza illudersi di poter spazzare via, con un unico gesto, questo accumularsi di difficoltà.
BOFFO: La pandemia, forse, darà un motivo per riflettere. Un fattore su cui riflettere, non solo grazia alla pandemia ma anche post-guerra in Ucraina, sarà certamente quello delle catene di trasmissione. Come tutti ben ricordiamo, ad inizio pandemia non si riuscivano a reperire più mascherine e si è dovuto comprarle in Cina. Quindi per il futuro, in generale, un’idea potrebbe essere quella di modificare o di accorciare le filiere di produzione, non dipendendo da un unico Paese. Poi, potrebbe emergere anche un discorso a livello europeo per stabilire una diversa politica sanitaria per stabilire provvedimenti a livello globale in modo tale che problemi di tale portata siano risolti di comune concerto all’interno di comparti geopolitici.
DI GIANNANTONIO: Il Covid, come la guerra, ha messo in evidenza una nostra incredibile fragilità: noi che siamo società di atomi, non di gruppi né di famiglie, abbiamo scoperto di essere molto fortunati, perché abbiamo un livello di benessere incredibile. Questo livello di benessere, però, è anche molto fragile. Basta che uno zibetto venga mangiato in un mercato di Pechino, e poi succede che c’è una pandemia in tutto il mondo. Basta che non si regolino le politiche per risolvere i problemi tra due nazioni e si arriva allo spettro della terza guerra mondiale. Basta che qualcuno chiuda lo stretto di Malacca, attraverso il quale passa il 70% delle componenti elettroniche mondiali, per paralizzare una fabbrica che sta a Torino e che non ha più i componenti per montare la Panda. Viviamo in una società di grande benessere, come mai c’è stato prima nel mondo, ma anche di fragilità, perché scopriamo che ci sono delle debolezze incredibili. In questo, la pandemia ha anticipato che la globalizzazione – che avrebbe dovuto andare avanti fino a dei livelli di complessità assurda- dev’essere rivista perché queste dinamiche (anche riscaldamento globale ed energie rinnovabili) vengano trattate in modo virtuoso da tutti e con un’intesa mondiale. La globalizzazione è il passo più avanzo di una tendenza che vede la finanza e l’economia prevalere a tutto tondo sulla politica. Poiché la finanza non ha etica, non ha morale e non si fa problemi di carattere sociale, ma si fa solo questioni di convenienza, allora in questo senso un passo a vuoto o due passi indietro servono a fare una riflessione che ha al centro un dato incontrovertibile: la politica deve riguadagnare spazio e deve avere la possibilità di guardare al futuro, di riprogrammare, di proporre e di immaginare delle linee di azioni che oggi non ci sono.
COLOMBO: Credo che la crisi del Covid non abbia fatto che accelerare le tendenze già in atto, le ha quasi portate all’estremo. L’unica vera, e molto importante, innovazione interrotta dalla crisi del Covid – e credo che sia anche l’elemento di connessione più forte tra lo shock della pandemia e quello della guerra in Ucraina – è il fatto che entrambi gli eventi porteranno un colpo di freno, forse decisivo, alla debolezza dell’economia. La lezione che sia il Covid che il conflitto ucraino sembrano avere suggerito è che per essere sicuri è meglio mantenere il controllo sulle risorse più importanti, quelle sanitarie nel caso della pandemia e quelle energetiche nel caso della guerra. Quindi, è una lezione che va in direzione opposta rispetto a tutta la retorica della globalizzazione.
CREMENTIERI: Non sono convinto che ci possa essere un cambiamento così netto dovuto ad una pandemia. Di pandemie ce ne sono state in passato e, al di là del momento contingente dove tutto sembra non avere più certezze, poi le cose riprendono il loro corso. Quindi, non credo ci saranno grosse implicazioni future che possano compromettere i rapporti internazionali, sia economici che di altro genere.

MUNARI: Sì, può darsi. Questa domanda mi fa venire in mente le multinazionali. Abbiamo assistito, ad esempio, alla potenza di espressione delle aziende farmaceutiche ottenuta proprio grazie alla pandemia. Se ci saranno dei cambiamenti, questi saranno sostanzialmente sempre ben visti a patto che apportino un miglioramento all’ordine mondiale esistente. Sono molti i fattori da valutare ma quello che accadrà lascerà sicuramente il segno. E, dobbiamo anche ricordare che, nel secolo scorso, ci sono state due guerre mondiali, c’è stata l’epidemia di spagnola – che è stata di gran lunga peggiore di quella di Covid-19 – oltre ad altre svariate situazioni che hanno sicuramente lasciato un segno ed hanno modificato le società. Certi eventi ed il miglioramento delle società avrebbero dovuto portare a far riflettere l’umanità ma, tirando in ballo la pandemia e l’attuale guerra in Ucraina, sembra che l’uomo non abbia poi imparato molto!

Qual è la sua opinione riguardo gli impegni climatici che le maggiori economie del mondo hanno sottoscritto durante gli ultimi summit multilaterali (ad esempio il G20 e la COP26)?

ZAMPIERI: Che il climate change sia un problema è chiaro a tutti ma la mia sensazione è che in questo momento, il cambiamento ambientale, agli occhi dei politici sia più un claim che una necessità. Se è vero che l’Unione Europea ha votato il Green Deal per ridurre drasticamente le emissioni di carbone e anidride carbonica, è anche vero che è una grandissima occasione per il rilancio economico e produttivo. Si pensi ad esempio all’industria dell’automotive, la più importante industria europea. In questo momento, per vendere automobili, si devono produrre automobili elettriche altrimenti ci si preclude il mercato cinese e in potenza il mercato asiatico, abitato da quasi quattro miliardi di persone. Il grosso problema è che la Cina è monopolista nella produzione di batterie agli ioni di litio per cui oggi l’auto elettrica non serve solo per il Pianeta ma perché, se la vuoi vendere, la devi vendere alla Cina.
CASTRONUOVO: Il clima oramai è nelle principali agende di tutte le maggiori Organizzazioni Internazionali. Per lo sviluppo sostenibile, il cambiamento climatico è una sfida importante, che richiede soluzioni a livello globale. La stessa ONU a più riprese, ha invitato i suoi 193 Stati membri ad adottare misure immediate ed allo stesso tempo coraggiose, per proteggere il clima. Alla fine del 2015, a Parigi, i Paesi si sono messi d’accordo per la prima volta per un impegno congiunto a livello mondiale di protezione del clima giuridicamente vincolante. In tal senso, ricordo come proprio in quella agenda per lo sviluppo sostenibile, l’ONU abbia messo nero su bianco un programma d’azione per persone, pianeta e prosperità, con la precipua finalità di conseguire 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile – Sustainable Development Goals, non più tardi del 2030.

BOFFO: Vi è certamente la volontà comune di affrontare questa problematica, anche se fare accordi è sempre difficile e complessi. Bisogna però considerare che le variazioni climatiche corrono veloci, la definirei una sfida contro il tempo. I negoziati servono e ci sarà, sicuramente, un’accelerazione in quanto il problema appare sempre più imponente. Ma, c’è anche da dire che i problemi creati sono tali che, anche se cessassero oggi, non riusciremmo ancora per parecchi decenni a liberarci dal surriscaldamento globale o a fermare del tutto l’innalzamento dei mari. Quindi, dobbiamo capire come fronteggiare concretamente tali emergenze. Anche qui la collaborazione internazionale è fondamentale.
DI GIANNANTONIO: Potremmo dire che, da un lato, sono solo parole e, quindi, dare un giudizio estremamente negativo, perché se non sono seguite dai fatti restano parole. Ma dall’altro, meglio che ci siano piuttosto che non ci siano. Va però detto che quello che noi pensiamo si configura in un Occidente evoluto, dove i problemi di malattie importanti o della fame sono stati risolti. L’Occidente evoluto, dunque, deve capire che c’è un’altra metà, o altri ¾ del mondo, che deve risolvere ancora tali problemi primari. L’idea che si debba arrivare a energie rinnovabili, quando ancora non ci sono energie, o le energie sono solo umane (quando una madre di 3 figli deve fare 12 chilometri per portare acqua a mano), allora lì si fa una brutta figura. Bisogna fare una transizione più umana, molto rispettosa delle esigenze primarie che ha l’altra metà del mondo.
COLOMBO: Alcuni di questi impegni hanno una portata temporale così ampia e così lunga da avere una credibilità molto discutibile. Tutti questi impegni sono stabiliti, come sempre, all’ombra della convinzione che altre cose non cambino. Viviamo in un contesto nel quale le priorità possono cambiare, e quello che sta avvenendo per effetto della guerra in Ucraina ce lo dimostra inequivocabile. Stiamo già parlando di un ritorno, almeno provvisorio, al carbone in Germania. Stiamo anche, ovviamente, pensando ad un ritorno in massa all’energia nucleare. Stiamo pensando a trovare un modo per risolvere la carenza energetica che investirà alcune delle principali economie europee. Bisogna essere molto prudenti nei confronti degli impegni che si vogliono assumere!
CREMENTIERI: Questo è un altro argomento interessante, uno dei temi più caldi tra quelli attualissimi ed importantissimi. Io credo che ci sia una responsabilità umana nel riscaldamento globale; quindi, diciamo che l’impronta antropologica individuale è la vera responsabile di tutto ciò. Ma, devo anche dire che andando a frugare un po’ nei periodi delle ere glaciali e di quelli intermedi, siamo ancora ampiamente all’interno di queste anomalie. Quindi sì, noi siamo responsabili perché l’incremento di CO2 è stato repentino, ma ci sono state situazioni in passato dove la quantità di CO2 che è stata emessa per incendi naturali o dovuta a meteoriti e quant’altro era nettamente superiore. Allora, l’uomo deve fare qualcosa? Sì. L’uomo è responsabile del cambiamento climatico? Sì, anche questo è vero, però i ghiacciai antartici si stanno allargando: la naturale evoluzione dei ghiacci antartici è in parte in contrazione, ma stiamo ragionando in una sfera così insignificante rispetto alle ere geologiche e glaciali che bisogna essere cauti. Quello che io soffro è che i media cavalcano un po’ il terrore per vendere la notizia che c’è forse un’eccessiva enfatizzazione mediatica alla quale seguono scelte economiche un po’ precipitose ed avventate: ad esempio, come stanno cavalcando l’elettrico delle auto o altre cose di cui francamente sono un po’ dubbioso. Quindi, dobbiamo ridurre la nostra impronta di inquinamento ma dobbiamo anche fare delle scelte che siano intelligenti: non è certo strumentalizzando questa situazione climatica, per creare profitto, che risolveremo il problema.

MUNARI: Credo che ci sia una grandissima tendenza a “predicare bene e razzolare male”. Personalmente, da parte dei diversi Stati, non vedo tutta questa grande attenzione al futuro senza l’uso “sfruttato” di risorse della terra. Prima o poi, però, dovremo sicuramente fare i conti con la realtà in quanto, già oggi, cominciano a presentarsi delle complicazioni non indifferenti.